Riconoscimento mansioni superiori: “Trattenersi dopo l’orario di lavoro non dimostra l’effettiva durata della prestazione lavorativa”

È questo il principio affermato dal Tribunale di Palermo, sez. lavoro, con la sentenza n. 517/2023 pubblicata in data 16/02/2023, che qui si allega.

Con ricorso depositato in data 21/12/2020, la lavoratrice, assunta come guardia particolare giurata in un istituto di vigilanza, agiva contro quest’ultimo lamentando falsamente di avere svolto mansioni superiori di responsabile amministrativa di I livello e chiedeva, pertanto, il riconoscimento delle conseguenti differenze retributive. In particolare, la ricorrente dichiarava di avere lavorato, a far data dal 17/04/2013 fino al 28/08/2018, con la qualifica di guardia particolare giurata riconducibile al livello IV del CCNL Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari e di avere, altresì, svolto per tutta la durata del rapporto di lavoro, mansioni superiori riconducibili anche al livello I di responsabile amministrativa, trattenendosi oltre il normale orario di lavoro.

La società datrice di lavoro, assistita dai nostri legali, eccependo preliminarmente l’inammissibilità della domanda per intervenuta conciliazione sindacale contestava, nel merito, la ricostruzione fatta dalla lavoratrice, la quale aveva sempre svolto – all’interno dell’azienda – attività rientranti nel profilo di guardia particolare giurata, come dimostrato dai numerosi corsi di formazione, addestramento e aggiornamento svolti dalla ricorrente nel corso della sua intera attività lavorativa presso l’Istituto. La lavoratrice, infatti, non possedeva nessuna competenza tecnica né esperienza per svolgere le mansioni di responsabile amministrativa. Peraltro, l’azienda per lo svolgimento di tali mansioni si avvaleva di altri dipendenti a ciò adibiti o a studi di consulenza esterni.

Il Tribunale di Palermo, nella persona della Dr.ssa Bruno Santina, rigettava il ricorso promosso dalla lavoratrice, aderendo alle motivazioni prospettate dalla nostra difesa. In primo luogo, accoglieva il primo motivo di doglianza evidenziando come, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, “il verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale è impugnabile da parte del lavoratore soltanto se si è in presenza di un vizio del consenso o in difetto di assistenza da parte del rappresentante sindacale, essendo di guisa preclusa al giudice qualsiasi valutazione in ordine alle determinazioni delle parti rispetto alle reciproche concessioni (C. Cass., ord. n. 9006/ 2019)”. Nella fattispecie concreta il Giudice rilevava che la lavoratrice non aveva, infatti, fornito prova dell’esistenza di vizi suscettibili di inficiare la validità dell’accordo, a nulla rilevando l’asserito sbilanciamento contrattuale a sfavore della lavoratrice.

Il Tribunale del Lavoro rigettava poi, nel merito, la richiesta di riconoscimento del superiore livello di inquadramento contrattuale riconoscendo che “il mero svolgimento di compiti amministrativi non è da solo sufficiente a rilevare l’indipendenza valutativa e l’ampia capacità gestoria connaturate al ruolo di responsabile amministrativo”. In particolare, la disamina della prova testimoniale non ha consentito di affermare che la lavoratrice abbia reso in modo continuativo e prevalente mansioni estranee al proprio inquadramento contrattuale. 

Il Giudice ha rilevato, infine, sotto un profilo quantitativo, che trattenersi “dopo l’orario di lavoro” non può contribuire, da solo, a dimostrare l’effettiva durata della prestazione lavorativa, non avendo parte avversa raggiunto l’onere della prova su questa gravante. 

Clicca qui per visualizzare la sentenza n. 517/2023.

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