Può l’amministratore di una società chiedere il proprio compenso in assenza della delibera di determinazione dello stesso da parte dell’assemblea dei soci? NO!
Questo è quanto ha stabilito la Corte di Appello di Messina, con la sentenza n. 233/2023, in riforma della sentenza del Tribunale di Messina n. 1315/2021 del 9.06.2021.
Il caso riguardava l’amministratore di una società, sottoposta a sequestro preventivo nell’ambito di un’indagine per bancarotta fraudolenta in cui lo stesso amministratore era stato peraltro coinvolto, che agiva in giudizio contro la detta società, ormai in amministrazione giudiziaria, per ottenere l’ingiunzione di pagamento dei suoi presunti compensi professionali.
L’ingiunzione ottenuta dal Tribunale di Messina veniva opposta dall’amministrazione giudiziaria della società, rappresentata dagli avvocati del nostro studio legale.
A sostegno della non debenza di quei compensi, i nostri legali hanno dedotto l’assenza della delibera con cui l’assemblea dei soci (unico organo sociale che può deliberare l’elargizione dell’emolumento) avrebbe determinato l’erogazione e la misura del compenso preteso l’impossibilita di sopperire alla suddetta mancanza con l’eventuale inserimento da parte dell’amministratore di quel costo nei bilanci approvati o con la produzione in giudizio dei cedolini di liquidazione, emessi sempre dallo stesso amministratore, ma di cui non vi era traccia nei documenti ufficiali della società .
La mancanza della delibera, infatti, impedisce che all’amministratore di una società di capitali possa essere riconosciuto alcunché, come già pure statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 07/03/2014 n. 5349: “Con riferimento alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali ai sensi dell’art. 2389, comma 1 c.c., […] è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio […]”.
Neppure la produzione della copia di una delibera dell’assemblea dei soci, priva, però, della necessaria dichiarazione di conformità a quella trascritta e sottoscritta nei libri sociali della società risultava idonea a provare la pretesa creditoria avanzata.
Pertanto, nell’impossibilità di procedere a qualunque verifica in ordine alla reale esistenza della suddetta delibera, a causa del mancato reperimento dei libri sociali, determinato dal sequestro conseguito all’accertamento del reato di bancarotta fraudolenta, la Corte di Appello di Messina accoglieva le argomentazioni prospettate dai nostri legali, che assistevano l’amministrazione giudiziaria della società, in ordine alla mancanza di adeguata prova della pretesa creditoria avanzata e, dunque, rigettava le pretese di parte avversa.
Di seguito la sentenza: https://bit.ly/3M7yTl3