Sebbene l’ordinamento giuridico avesse già da tempo concepito con l’art. 16 e ss. del d. lgs. n.96/2001 la possibilità per gli avvocati di svolgere la professione in forma societaria, la pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 19 luglio 2018, n. 19282 ha eliminato ogni dubbio circa la disciplina da applicare nel caso in cui più avvocati decidessero di svolgere la professione in tale modalità.
In sostanza, le Sezioni Unite sono state investite della questione circa l’applicazione esclusiva per l’esercizio in forma associata della professione forense delle norme dettate dal d.lgs. 96 del 2001 (che esclude la multidisciplinarietà e la presenza di soci non avvocati) o, diversamente, della disciplina contenuta nella legge 183 del 2011 (che, invece, ammette la multidisciplinarietà e, sia pur con alcuni limiti, i soci non professionisti). In altri termini, la questione da risolvere era se l’esercizio della professione forense fosse possibile esclusivamente tramite l’uso della STA (Società tra avvocati) ovvero anche tramite l’uso della STP (Società tra professionisti).
Secondo il pronunciamento della Cassazione l’esercizio in forma societaria della professione forense è ammesso esclusivamente nelle forme di cui dall’art. 4-bis della legge n. 247 del 2012, così come integrato dalla legge n. 205 del 2017, che ammette solo il ricorso alla Società tra avvocati (STA).
La Cassazione, infatti, in virtù del principio regolatore del conflitto di norme di pari rango secondo il quale lex posterior generalis non derogat priori speciali, ha ritenuto che dovesse necessariamente darsi prevalenza all’art. art. 4- bis, così come integrato dalla legge 124/2017. Tale previsione è, dunque, destinata a prevalere tanto sulla (anteriore e) generale disposizione dell’art. 10 legge n. 183/2011, quanto sulla parimenti speciale, ma anteriore, disciplina di cui agli artt. 16 e ss. dello stesso d.lgs. n. 96/2001, che sarebbe stata, in definitiva, implicitamente abrogata.
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